Nella tradizione buddhista tibetana c’è una definizione di mente molto chiara e semplice. Per mente o coscienza, termini sinonimi per indicare lo stesso fenomeno, si intende “ciò che è chiaro e conosce”. Possiamo dire che la mente conosce tutti i fenomeni di cui facciamo esperienza sia quelli che provengono dal corpo che quelli che provengono dalla parte pensante della mente.
I fenomeni che conosciamo e di cui facciamo esperienza con il corpo entrano in noi dai cinque canali sensoriali: le immagini visive dal canale della vista, i suoni dal canale dell’udito, i gusti dal canale gustativo, gli odori dal canale olfattivo e le sensazioni di contatto dal canale tattile. I fenomeni che provengono dalla mente pensante sono pensieri e immagini mentali. Essi appaiono privi di materia fisica e li sperimentiamo come interni a noi ciò che dimostra, a mio parere, che devono avere un sostegno nell’attività del cervello o in qualche altro substrato corporeo nel caso delle coscienze più sottili affermate dalla tradizione buddhista, Il nostro mondo è tutto racchiuso nelle esperienze conosciute attraverso questi sei canali.
La chiarezza della mente di cui sopra, si riferisce al fatto che la mente possiede uno sfondo come un cielo ampio e luminoso sul quale di volta in volta appaiono le esperienze fisiche e mentali che vengono conosciute. La natura di chiarezza dello sfondo rimane comunque anche se le esperienze conoscitive appaiono con un sapore di pesantezza, oscurità o confusione poiché è la chiarezza che permette la percezione dell’esperienza. Per esempio quando diciamo di essere confusi dimostriamo di conoscere quel tipo di esperienza ed è proprio la chiarezza di sfondo che ci permette di parlare della confusione. Si potrebbe dire che se lo sfondo fosse oscuro, come si potrebbe dire di getto riguardo alla confusione, sarebbe tutto buio e non potrebbe sorgere alcuna esperienza conoscitiva.
La scienza moderna ha confermato recentemente che le reti neuronali tendono a fissare nelle aree del cervello, i pensieri prodotti con più frequenza fino a farli diventare abitudini ben radicate, come impronte che nel momento in cui si presentano le condizioni adatte, partono in automatico producendo i comportamenti relazionali.
In fondo è qualcosa che sapeva già anche la saggezza popolare e il Buddha 2500 anni fa diceva nel famoso sutra “Sui due generi di pensiero”: “Ciò a cui frequentemente pensiamo, quello diventa l’inclinazione della nostra mente.
Su queste modalità di funzionamento della mente costruiamo le nostre idee su noi stessi e sul mondo le quali poi indirizzano tutti i comportamenti che mettiamo in atto. Quindi è evidente che la felicità o la sofferenza nella nostra vita dipendono strettamente da ciò che pensiamo.
E’ proprio su questi presupposti sul funzionamento della mente che si fonda la pratica interiore che conduce all’emancipazione dal dolore e verso un’esperienza di libertà e pace. Uno degli elementi principali di questa pratica è la meditazione su cui potete approfondire andando alla pagina dedicata “cos’è la meditazione”.
Nanni Deambrogio